Per la festa del Papà abbiamo deciso di dare spazio a uno dei molti padri che abbiamo conosciuto in ospedale.
Essere un Papà in corsia non è facile: sono molti coloro che – come le mamme coinvolte – oltre a dover affrontare la paura derivante dalla malattia del proprio figlio o della propria figlia, rischiano di perdere il lavoro. I sensi di colpa sono sempre dietro l’angolo e, sebbene si cerchi di vivere alla giornata navigando a vista, le preoccupazioni sono molte.
Per questo con le nostre attività negli ospedali di Taranto e Pavia cerchiamo di essere loro vicini, sia con un sostegno economico che col giusto supporto psicologico. Ma lasciamo ora la parola a questo papà, che chiameremo Michele per non invadere troppo la sua privacy.
Ciao Michele, puoi raccontarci come avete scoperto la malattia di vostro figlio, Antonello?
L’abbiamo scoperto perché da un giorno all’ altro mio figlio non riusciva a fare pipì… All’inizio pensavamo che fosse una banale cistite, però poi dall’esame radiologico abbiamo scoperto che aveva una massa che, partendo dalla prostata, aveva spinto sul canale uretrale, creando questo impedimento. In mezza giornata ci siamo ritrovati dall’ospedale di Martina [in Puglia, ndr] all’ospedale del capoluogo di regione, per poi andare il giorno successivo all’ospedale di Padova. A marzo 2018, non esisteva ancora il reparto di Oncoematologia pediatrica di Taranto e quindi ci siamo dovuti trasferire a Padova.
Com’è cambiata la vostra quotidianità?
Stravolta completamente: ci siamo trovati catapultati in un’altra realtà…Nostro figlio all’inizio ha fatto 50 giorni di ricovero. Piano piano poi siamo riusciti a ricostruire una parvenza di quotidianità. Ritornare in Puglia ha fatto in modo che potessimo recuperare la quotidianità di prima. Abbiamo cercato di non far mancare nulla alla famiglia…I ricoveri erano frequenti, le precauzioni dovevano essere portate al massimo però ce l’abbiamo fatta.
Credo che sia stato l’ approccio migliore. Diciamo che ce lo siamo potuti permettere: io sono un professionista, mentre mia moglie è una dipendente. Lei è riuscita ad accedere ai servizi garantiti dallo Stato. Questo ci ha permesso di poter mancare da lavoro senza grosse difficoltà. Io nel mio ho lavorato a distanza per quello che è possibile fare. Banalmente faccio l’ avvocato, però la quotidianità lavorativa è un’altra cosa. Io scrivo e ho potuto continuare la mia attività in modo non assiduo ma ci siamo riusciti.
Sono stato affettuosamente supportato dai miei colleghi. In più sono assessore del mio paese: anche qui mi sono dovuto assestare e quando sono rientrato – grazie all’apertura del reparto di Taranto – la nostra quotidianità è ritornata abbastanza integra.
Grazie a Taranto siamo riusciti ad avere una normalità, cosa che non sarebbe potuta succedere se dovevamo spostarci su Bari o su Lecce. Banalmente mia moglie riesce a spostarsi facilmente su Taranto per questo è importante che il reparto vada supportato continuamente.
Com’è la vita in reparto? Che legami si creano tra le famiglie e il personale?
Da subito c’è stata una forte empatia, a partire dal Primario fino al personale infermieristico. C’è un ambiente molto accogliente. C’è grande competenza e molta professionalità, sebbene ci fosse allora poca esperienza su quel campo specifico. Noi che avevamo tastato con mano l’azienda ospedaliera di Padova, ci siamo stupiti in maniera positiva di Taranto. Abbiamo imparato insieme tante cose. Abbiamo riportato la nostra esperienza padovana anche sui protocolli e le terapie. È stato credo uno scambio reciproco di informazioni grazie anche alla nostra esperienza padovana.
Avere qualcuno con cui parlare e sfogare il peso dentro è importante: il supporto psicologico ti sta aiutando in questo?
A Padova abbiamo conosciuto Maria Montanaro. Poco dopo che noi abbiamo avuto la possibilità di rientrare, lei casualmente ha cambiato reparto ed è venuta a lavorare a Taranto. Ci ha seguito così per tutto il percorso ed è stato importante il suo affiancamento: è diventata una di famiglia. Antonello si è molto legato a lei e anche noi.
Credo che il supporto psicologico sia indispensabile per due motivi: per avere il supporto di un professionista che abbia esperienza sul campo e per creare una rete con dei genitori che avevano già affrontato il nostro problema.
Queste persone sono diventate una fonte preziosissima di informazioni: sono riusciti a rispondere a dubbi che normalmente non rivolgi ai medici, dubbi a cui solo un papà che ha già passato questa situazione può risponderti. Sono diventati parte della nostra famiglia e a Natale ci siamo ritrovati, li incontriamo spesso. Queste due cose credo che per le famiglie siano molto importanti.
Come sta affrontando la malattia tuo figlio Antonello?
Antonello in questo momento è rientrato a scuola. È rientrato regolarmente a settembre. Nel periodo in cui non riusciva ad andare a scuola ci chiedeva spesso perché non potesse andarci. Noi abbiamo sempre detto che la scuola era in fase di ristrutturazione, cosa che peraltro era anche un po’ vera. Infatti al suo rientro ha trovato una scuola un po diversa e quindi la bugia diciamo ha retto per un po’…
A giugno siamo riusciti a portarlo all’aperto con i suoi compagni, mentre fino a quel mese le maestre, in modo molto professionale, hanno portato a casa i suoi amici, quelli selezionati che non avevano problemi di salute, e una volta a settimana sono riusciti a dargli delle le lezioni private. Dopo una piccola vacanza estiva siamo riusciti a inserirlo a settembre a scuola perché adesso Antonello è nella fase del follow-up. Adesso dobbiamo riandare a Padova per la fase di mantenimento e ad aprile non sappiamo cosa accadrà…
Qual è la prima cosa che farete quando finalmente Antonello si sarà ripreso?
Farò quello che stiamo già facendo. Ad esempio ieri abbiamo fatto i biscotti, abbiamo costruito un dinosauro 3D…Vorrei riuscire a fare con lui tutto quello che facevamo prima.
AIUTACI A SUPPORTARE ECONOMICAMENTE E PSICOLOGICAMENTE
QUESTE FAMIGLIE
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