«Dovete mettere un cartellone con la scritta “sfogatevi qui” in modo che i bambini quando entrano in questa stanza possono scrivere sulla parete le loro emozioni!» così ci ha detto un giorno Carlo, un bambino di 8 anni in cura nel reparto di Onco-ematologia del Policlinico San Matteo di Pavia.
I più piccoli sanno essere sorprendentemente diretti e con questa frase Carlo ci ha fatto capire quanto per loro sia importante avere un porto sicuro dove esprimere i propri sentimenti.
Per questo motivo per Carlo e tutti gli altri bambini, adolescenti e genitori in reparto non ci siamo mai fermati, nemmeno per la pandemia. Nei momenti in cui non era possibile accedere all’ospedale abbiamo avviato i consulti tramite videochiamate intervallati, quando possibile, da incontri in presenza.

L’esperienza di Francesca Bigoni, una delle nostre psicologhe
Francesca lavora con noi in reparto da due anni: è una delle psicologhe che hanno seguìto i bambini del San Matteo anche durante il picco dell’emergenza COVID e continua a farlo anche oggi.
Siamo in costante contatto con lei e gli altri del team e abbiamo voluto farle qualche domanda da condividere con voi per rendervi partecipi di già che accade al San Matteo in questo periodo.
Francesca, come stanno reagendo i bambini malati di cancro e le loro famiglie alla seconda ondata di COVID?
Nel precedente lockdown il periodo era stato vissuto abbastanza bene perché c’era stata una sorta di parificazione: l’utilizzo delle mascherine, la scuola a distanza, la preoccupazione del contagio aveva reso i bambini malati più vicini ai loro amici e compagni di scuola. Vivevano una condizione simile, nonostante per loro fosse sempre presente la malattia. Tutti i sentimenti negativi erano rivolti verso la diagnosi e il tumore.
Adesso invece la paura di essere contagiati è più presente, a partire dai genitori e di conseguenza nei figli. Spesso preferirebbero rimanere in ospedale, nonostante la noia, per sentirsi più al sicuro.
Hai parlato di “noia”, come mai?
Il reparto è sempre serrato e i contatti con l’esterno sono ridotti al minimo: i bambini ricoverati
possono stare con un solo genitore. Soltanto se il ricovero è molto prolungato c’è la possibilità per il padre o la madre di darsi il cambio.
La noia deriva dall’assenza di attività in reparto: non c’è nulla da fare. Non ci sono attività di volontariato e spesso i bambini e i ragazzi non hanno nulla a disposizione per passare il tempo. Anche perché capite che il ricovero sia inaspettato e repentino per cui non si portano nulla da casa…Le giornate sono interminabili per loro e noi siamo qui anche per questo: li aiutiamo a gestire le proprio emozioni e tirare fuori ciò che non va.
Siamo però come una cerchia di amici. Settimana scorsa una bambina, ricoverata qui col padre, ha festeggiato i suoi 7 anni in ospedale. La mamma vive in Belgio con le sorelle e le ha mandato un regalo, ma per farlo funzionare servivano le batterie. In pochissimo tempo tutto il reparto si è attivato per trovare le batterie giuste.
L’isolamento crea senza dubbio maggiore solidarietà e ricerca di condivisione di un percorso di sofferenza simile.
Come stanno andando i momenti di sostegno psicologico coi pazienti piccoli e grandi?
Oltre al cancro, col nostro supporto psicologico ora dobbiamo lavorare sulla paura del virus e del contagio, e nello stesso tempo sulla noia e sul maggiore isolamento.
Gli incontri con noi psicologi sono vissuti come momenti di scambio protetto, soprattutto adesso che le occasioni di confronto tra bambini e tra genitori non sono molte.
Il desiderio però di creare legami è molto forte e lo vedo in piccoli gesti: una mamma che legge una storia a cavallo tra la camera del figlio e quella di un’altra bambina; oppure due ragazzi coetanei che hanno avuto la fortuna di essere vicini di stanza e ogni tanto scambiano due chiacchiere sulla porta…
In questa emergenza sanitaria, i bambini malati di cancro sono ancora più vulnerabili. Il supporto psicologico per loro è parte fondamentale della cura.
Continua a garantire la presenza di uno psicologo in reparto.
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