L’omone ricoverato in terapia intensiva si annoia.
Contrariamente ai suoi colleghi è ben cosciente, si interessa alla vita in reparto, condivide con l’infermiera estroversa la passione per i Queen. Però si annoia.
Il dottore coi capelli grigi gli propone, solidarietà del sovrappeso, la lettura del giornale: preferirebbe una partita a scacchi.
Al supermercato le scacchiere sono finite. Vien buono un negozio di giocattoli: “Un modello semplice, non so se a mio nipote piacerà…”.
L’omone probabilmente è un discreto giocatore e al dottore basta non subire il “Barbiere”. Meglio parlarne, di scacchi: che apertura ha impiegato, conosce Maurensig? In risposta un’appassionata propaganda del Go, gioco da tavoliere perfetto.
Nei giorni successivi l’omone, trasferito in reparto medico, dovrebbe passare in ambito riabilitativo, ma lui vuole andare a casa.
Il dottore degli scacchi potrebbe provare a convincerlo? Lo trova al piano di sopra, nella stanza all’ingresso del corridoio.
Non sembra neanche lui l’omone seduto sul letto, barba e baffi tagliati. Proprio perché le cose vanno meglio è il momento di consolidare lo stato di salute con la riabilitazione. Ha preso freddo, che gli è discesa la voce? Non gli avevano ancora detto nulla del trasferimento, ma va bene.
Nel corridoio l’infermiera fa presente che il paziente che non vuole andare in riabilitazione sta nella stanza all’ingresso del reparto gemello.
Scuse allo sconosciuto e nuova visita. Il paziente giusto accetta di buon gusto le ragioni del dottore. Poi, visto che c’è tempo, tira fuori un tavoliere con una marea di pedine bianche e nere e prova a spiegare la filosofia del Go.
Qualcosa ha capito, il gioco è di certo affascinante ma il dottore si conosce e dubita della costanza per venirne a capo. “Comunque io il mio tavoliere glielo regalo”.
Si salutano con gli occhi umidi il dottore fisionomista e il paziente giocatore di Go.
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