Chernobyl e il cancro infantile: anniversario di un disastro che non si è mai concluso

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Chernobyl e il cancro infantile: anniversario di un disastro che non si è mai concluso

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Quando il reattore n.4 della centrale nucleare V.I. Lenin di Chernobyl – la più potente dell’Unione Sovietica a quell’epoca – esplose la notte del 26 aprile 1986, una nube radioattiva si disperse nell’aria e coprii vaste aree intorno alla centrale, proseguendo per giorni nel centro e nord Europa trasportata dal vento. Il disastro danneggiò la struttura genetica di cellule animali e vegetali, contaminando il terreno e vie d’acqua. Ventotto persone persero la vita immediatamente per l’esplosione e per l’esposizione alle radiazioni. Furono solo le prime di una lunga lista. Mentre l’intera città di Prypyat – costruita appositamente per i lavoratori della centrale nucleare, e oggi città fantasma vicino al confine tra Ucraina e Bielorussia – fu evacuata il giorno dopo l’esplosione, nei mesi e anni successivi furono 600mila le persone coinvolte direttamente nei soccorsi e nei lavori di contenimento del reattore nucleare esploso.

Sono passati quasi trentatré anni dalla notte del disastro, e la totalità degli effetti sono ancora difficili da calcolare. Nessun studio governativo fu condotto in Unione Sovietica per valutare gli effetti delle radiazioni nell’ambiente, sui lavoratori della centrale, sulla popolazione locale e sui liquidatori – le persone coinvolte nei soccorsi e nei lavori di contenimento del reattore esploso. Nel 2005 l’ONU ha stimato che il totale delle morti attribuibili al disastro possa raggiungere 9,000 casi nel tempo. Un rapporto di GreenPeace del 2006, mentre da un lato confermava la difficoltà di misurare gli effetti complessivi del disastro, dall’altro denunciava quanto l’impatto a lungo termine sulla salute fosse stato sottostimato. Più recentemente alcune stime calcolano che solo tra i liquidatori circa 25,000 sono già morti per via della loro esposizione diretta al materiale radioattivo e alla loro permanenza in aree contaminate. Nel 1995, il governo Ucraino dichiarò che 125,000 persone erano già morte per gli effetti del disastro radioattivo.

Se misurare l’impatto complessivo sulla salute del disastro e mettere una parola fine è difficile, i dati raccolti negli ultimi trenta anni sul cancro parlano chiaro. L’esposizione alla radioattività ionizzante può indurre il cancro in quasi ogni organo del corpo. Tra i liquidatori e gli abitanti delle zone più esposte alla radioattività dispersa dalla centrale si è registrato un alto tasso di morbilità e mortalità a causa di diverse tipologie di tumore. Tuttavia, l’intervallo di tempo tra l’esposizione alle radiazioni e la comparsa del cancro può essere di 50 anni o più, e considerando l’inquinamento radioattivo presente nell’ambiente, gli effetti sulla salute del disastro del 1986 continuano e continueranno a provocare sofferenza.

In Ucraina, nei primi cinque anni dopo il disastro, i casi di cancro infantile aumentarono del 90%. Nei venti anni successivi circa 6,000 casi di cancro alla tiroide sono stati registrati in Russia, Ucraina e Bielorussia tra chi era minore di diciotto anni quando ci fu l’esplosione del reattore. Nel 2005 in Ucraina 19mila famiglie ricevevano assistenza governativa per via della perdita di un familiare la cui morte era stata causata dagli effetti del disastro, ma oggi la situazione politica instabile non assicura più questi servizi. Inoltre si calcola che tra il 1991 e il 2010 il paese ha perso quasi 6 milioni di abitanti a causa dei tumori infantili.

Nel 2014 la cifra di operazioni per cancro alla tiroide in Ucraina ha raggiunto più di 10,000 casi dal 1986. È evidente che i problemi alla salute causati dal disastro di Chernobyl, soprattutto per i bambini che sono stati esposti alle radiazioni, o che lo sono ancora oggi, esemplificano la drammaticità del disastro e della sua gestione, raffigurando uno scenario futuro molto complesso per il sistema sanitario ucraino.

Dal 2005 Soleterre è attiva in Ucraina in supporto ai bambini malati di cancro e alle loro famiglie, in collaborazione con la Fondazione Zaporuka, dove si sta costruendo una nuova casa di accoglienza a Kiev per garantire un luogo sicuro in cui guarire serenamente e ammortizzare le gravi spese a cui spesso vanno incontro.

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